La distruzione di una copia del testamento non integra una revoca mercoledì, Feb 10 2010 

A norma dell’art. 684, c.c., il testamento olografo può essere revocato anche mediante la sua distruzione. Ma cosa accade se il testatore ha redatto due copie aventi lo stesso contenuto, e ne ha distrutta solo una?

Su questa problematica si è pronunciata la Cassazione, che con sentenza n. 27395 del 28/12/2009, ha osservato che la distruzione è una revoca presunta, potendosi dimostrare il contrario, ovvero che la distruzione è stata operata da un terzo o dallo stesso testatore ma involontariamente. Pur tuttavia, l’applicabilità della citata norma è esclusa dall’esistenza della seconda copia che rappresenta comunque un regolare testamento olografo idoneo a produrre i propri effetti al momento della morte del suo autore, che, tra l’altro, è perfettamente cosciente della sua esistenza. La mera distruzione di una sola copia, infatti, potrebbe essere frutto della convinzione che un solo testamento sia sufficiente, magari perché affidato a una persona di fiducia.

Eredità: il termine per “recuperare” la quota spettante per legge lunedì, Feb 1 2010 

Al coniuge, ai figli e agli ascendenti di chi dispone per testamento (legittimari), la legge attribuisce una quota di eredità che non può essere lesa né con donazioni fatte in vita, né con altre disposizioni testamentarie. Qualora ciò dovesse accadere, il nostro ordinamento riconosce agli stessi legittimari un’azione giudiziaria, chiamata di riduzione ed esperibile in dieci anni, che mira, appunto, a ridurre gli atti lesivi sino alla ricostituzione dell’originaria quota riservata dalla legge.

Una problematica che ha diviso giurisprudenza e dottrina investiva la decorrenza del suddetto termine, poiché alcuni ritenevano che lo stesso coincidesse con l’apertura della successione, altri con la pubblicazione del testamento.

Ebbene, sull’argomento è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite, che con sentenza del 25 ottobre 2004, n. 20644, ha statuito che in caso di lesione avvenuta per donazione, il termine per esercitare l’azione di riduzione decorre dall’apertura delle successione perché solo in questo momento è possibile stabilire se vi è stata effettiva lesione, in quanto questo è l’istante in cui deve calcolarsi la quota spettante a ciascun legittimario. In caso di lesione per disposizione testamentaria, invece, la prescrizione decorre dal momento dell’accettazione dell’eredità da parte del legittimario, perché è solo con l’accettazione che il legittimario manifesta la volontà di acquistare la quota riservata dalla legge, creando così la condizione che lo legittimi ad agire in riduzione.

Ti diseredo! O no … ? lunedì, Feb 1 2010 

Magari in un momento d’ira particolarmente acuta, è possibile che tra genitori e figli o tra coniugi “scappi” una frase simile che potrebbe segnare in negativo il futuro dello sfortunato destinatario. Tuttavia, ha poco da temere e lo si può rassicurare chiarendo che l’istituto della diseredazione non è ammissibile nel nostro ordinamento. Fatti salvi i diritti dei legittimari, riconosciuti direttamente dalla legge, il problema si è posto per gli altri parenti eredi legittimi, nei confronti dei quali chi dispone per testamento potrebbe manifestare la volontà di non attribuire alcunché (ad esempio, “escludo dalla successione mio fratello”).

Ebbene, una delle ragioni della suddetta inammissibilità riposa nella considerazione che l’art. 587, c.c., sancendo che il testatore “dispone di tutte le sue sostanze o parte di esse”, impone che la volontà venga espressa in positivo, mediante l’assegnazione dei beni, e non in negativo, con l’esclusione di taluni soggetti.

Non mancano, però, sentenze della Cassazione, come la n. 5895 del 18 giugno 1994, che statuiscono come la volontà della diseredazione può valere a far riconoscere una contestuale volontà di istituzione di tutti gli altri successibili non diseredati solo quando, dallo stesso tenore letterale della volontà, o dal complesso dell’atto che la contiene, risulti la volontà di attribuire positivamente, con la conseguenza che solo in questo caso è possibile cercare anche all’esterno dello scritto che la contiene, l’effettivo contenuto della volontà di istituzione.

Successione ereditaria: determinazione della quota di legittima in caso di rinunzia di un legittimario lunedì, Feb 1 2010 

Com’è noto, la legge riserva a favore di determinati soggetti (coniuge, figli e ascendenti), detti legittimari, una quota del patrimonio ereditario, indipendentemente dalla volontà di chi ha disposto con testamento. Un problema particolarmente dibattuto riguarda la determinazione di tali quote, nell’ipotesi che un avente diritto (ad esempio il coniuge) dovesse rinunciare a quanto gli spetta. Infatti, mentre una parte di dottrina e giurisprudenza sostiene che chi rinuncia si deve considerare come se non esistesse ai fini divisori, l’altra parte sostiene che la quota non accettata si accresce proporzionalmente a favore degli altri beneficiari.

Vista l’incertezza che regnava la materia, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 13524, del 12 giugno 2006, ha disposto che ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nella stessa categoria, occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, e non a quello che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari. Con la conseguenza che la quota dei legittimari non rinunzianti non si accresce per effetto della rinuncia da parte di uno di essi all’esperimento dell’azione di riduzione, né la quota viene ricalcolata come se il legittimario rinunciante non fosse mai venuto alla successione.

Per la Corte, quindi, la quota che sarebbe andata al legittimario rinunciante se avesse agito in riduzione non va in ogni caso a beneficio dei legittimari accettanti, né per accrescimento in senso tecnico, né a seguito del ricalcolo delle quote dei legittimari accettanti. Essa incrementa piuttosto la quota di cui il testatore poteva disporre liberamente, e quindi va a beneficio di donatari, eredi o legatari.

Successione ereditaria: gli elementi che configurano il patto successorio, vietato dalla legge lunedì, Gen 25 2010 

Nel nostro ordinamento vige un principio in virtù del quale chiunque può disporre del proprio patrimonio per quando avrà cessato di vivere esclusivamente con il testamento e no con accordi – tecnicamente definiti “patti successori” – che rientrano nella categoria dei contratti.
La ragione del citato principio si base sulla considerazione che chi dispone lo deve fare liberamente e senza condizionamenti, con la facoltà di revocare in ogni momento, al contrario di ciò che accadrebbe se si stipulasse un vero e proprio contratto dal quale nascesse un vincolo che richiederebbe la volontà almeno di un altro soggetto.
Per comprendere la portato del citato divieto, si pensi che rientra nel divieto dei patti successori anche una donazione fatta in vita da un padre a uno dei propri figli per ricompensarlo di ciò che non gli verrà assegnato con la successiva eredità.
Proprio al fine di pronunciarsi su una causa che presentava caratteri analoghi, la Corte di Cassazione, con sentenza del 19 novembre 2009, n. 24450, ha statuito che sono patti successori, da un lato, le convenzioni aventi per oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale e, dall’altro, quelle che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano sorgere un vinculum iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l’adempimento. Il patto successorio, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione, non suscettibile della conversione ex art. 1424 codice civile, in un testamento, mediante la quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi.

Successione: i beni si stimano all’apertura della successione secondo il valore effettivo giovedì, Gen 7 2010 

L’apertura di una successione, che coincide con il decesso, è spesso motivo di contrasto tra gli eredi che si contendono il patrimonio, il quale può anche essere oggetto delle valutazioni più diverse.
Tra le varie ipotesi che possono incidere sui valori dei beni che compongono un determinato patrimonio, vi è quella che determina un notevole incremento di valore di un fondo che in virtù di una variante del piano regolatore dovesse trasformarsi da agricolo a industriale o edificabile.
Con sentenza n. 24711 del 24 novembre 2009, la Cassazione ha ribadito che a norma degli artt. 556, 747 e 750 del codice civile, i beni di un patrimonio si stimano al momento dell’apertura della successione secondo il valore effettivo in concreto e non a un valore tecnico non più corrispondente ai valori di mercato.
Nell’ipotesi suindicata, la Corte rileva che l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è già sufficiente a incidere sul valore di mercato di un immobile, e ciò si verifica già dal momento in cui il Comune adotta la qualificazione di area edificabile nel suo piano regolatore, ancora prima che lo stesso sia approvato dalla Regione, essendo irrilevanti le vicende successive come la mancata approvazione o la modifica del medesimo strumento urbanistico.

Gli eredi accedono gratuitamente al conto corrente del defunto martedì, Nov 17 2009 

L’art. 119 del Testo Unico Bancario prevede che «il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».
Qualora gli eredi dovessero presentare una richiesta di accesso a norma dell’art 7 del codice della privacy, la Banca non ha l’obbligo di esibire copia di ogni documento contenente i dati personali dell’interessato, in quanto l’art. 10 del Codice della privacy prevede, per garantire l’effettivo esercizio dei diritti di cui all’art. 7, che il titolare del trattamento (la Banca) adotti misure idonee ad agevolare l’accesso ai dati personali da parte dell’interessato, anche attraverso l’impiego di appositi programmi per elaboratore finalizzati ad un’accurata selezione dei dati che riguardano singoli interessati identificati o identificabili. La Banca, pertanto, dovrebbe fornire copia degli estratti conto e dei documenti contabili ai familiari del defunto imputando i costi dell’operazione ai richiedenti.
Con decisione n. 1541439, il Garante della privacy ha ricordato che i parenti del familiare defunto sono legittimati a esercitare gratuitamente e senza l’applicazione delle commissioni bancarie il diritto di accesso ai dati personali dello stesso ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del Codice della privacy che prevede che «i diritti di cui all’articolo 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione».