In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi
dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche e
i soggetti collettivi il danno non patrimoniale, inteso come danno morale
soggettivo, è, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone
fisiche, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6
della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere
psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone
preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri; sicché, pur dovendo escludersi
la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa”- ossia
di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della
violazione, – una volta accertata e determinata l’entità della violazione
relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale
danno esistente, sempre che l’altra parte non dimostri che sussistono, nel caso
concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere
che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Con questa sentenza, la n. 12024 del 17 maggio 2010, i Supremi Giudici hanno
stabilito che in materia di equa riparazione per irragionevole durata del
processo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le
persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale
soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è – tenuto conto
dell’orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo – conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere
psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone
preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da
quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito
dagli individui persone fisiche; sicché, pur dovendo escludersi la
configurabilità di un danno “in re ipsa” – ossia di un danno
automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -,
una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla
durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente,
sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze
particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato
subito dal ricorrente.
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